Tutti parlano di empatia, spesso a sproposito, come accade quando parole o espressioni del tutto rispettabili vengono massificate. Perfetti sconosciuti che s’incontrano per la prima volta e scoprono di aver avuto esperienze infantili simili, o di amare particolari film o concordano su quale sia l’altezza giusta della pizza si scoprono “empatiche” e credono di avere una via di comunicazione diretta, un’autostrada che collega l’anima dell’uno a quella dell’altro. L’empatia è come il prezzemolo, sta bene dappertutto.

Empatia è una parola potente, in un colpo solo ha cancellato dal vocabolario la simpatia, l’affinità, la sensibilità, la pietà. Quello che non riesco a perdonare a questo invadente sostantivo è l’aver cancellato dal vocabolario quella parola che, già messa in disarmo da decenni, è il significante di uno di quei ancora incomprensibili fenomeni che ci rendono veramente umani, la compassione.
Se è vero che l’empatia è il frutto del lavoro di particolari neuroni, e che questi neuroni ce li abbiamo tutti, allora possiamo dire che l’empatia dipende direttamente dall’equipaggiamento in dotazione al nostro cervello e che quindi la puoi sempre sperimentare, se le strutture cerebrali coinvolte in quel fenomeno non sono compromesse. Se non la provi, puoi essere addestrato a provarla, puoi esercitarti, come nel canto o nella musica. Con la compassione no, non ci si può esercitare a provare compassione. La puoi fingere, come fanno molti, ma come con tutte le altre menzogne, prima o poi verrai scoperto. Purtroppo, non subito, mentre da subito quel fingere ti costruirà una reputazione sociale di persona buona, reputazione che non verrà mai messa in discussione, nonostante i numerosi comportamenti contraddittori in cui ti sarà inevitabile cadere. Contraddizioni del genere al massimo generano negli altri uno stato di dissonanza cognitiva con la quale nessuno vuole avere a che fare, e che viene prontamente liquidata con “non pensava quello che diceva”, oppure “ha sbagliato, ma non aveva cattive intenzioni”.
I finti buoni di cui è pervasa la nostra società dovranno rassegnarsi perché, come è vero che il cervello non è la somma delle sue parti, vero è anche che fenomeni come la compassione fanno parte di quel comparto misterioso che include il Senso della Giustizia, la Creatività (quella vera), la Speranza, lo Spirito dell’Avventura, ovvero quella particolare varietà di fenomeni che nella loro forma più articolata dovrebbe distinguerci dagli animali e che giacciono invece al buio, chiusi in casse sigillate come in museo in cui gli originali delle opere d’arte siano conservati nei sotterranei e sostituiti da copie, per l’ammirazione del popolo Ikea.

Quello che so e quello non so:
So che empatia e compassione però sono due parole differenti.
Che poi siano usate a sproposito, niente da ridire.
L’empatia è una capacità, la compassione un sentimento, che spesso può sfociare in azione.
Non so come funziona biologicamente l’empatia, se hai ragione tu e si può imparare, se è vero che la compassione si può averla o solo fingerla, ma quello che so è che la contraddizione è uno stato umano al 100%.
Non so chi siano i finti buoni, ma so che io so come annusarli, io conosco l’odore dell’onestà, non importa ciò che sono e ciò che fanno.
So che chi non è onesto con gli altri non lo è sopratutto con se stesso.
Ed è questo il mio grande rammarico.
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