Empatia, che noia.

Tutti parlano di empatia, spesso a sproposito, come accade quando parole o espressioni del tutto rispettabili vengono massificate. Perfetti sconosciuti che s’incontrano per la prima volta e scoprono di aver avuto esperienze infantili simili, o di amare particolari film o concordano su quale sia l’altezza giusta della pizza si scoprono “empatiche” e credono di avere una via di comunicazione diretta, un’autostrada che collega l’anima dell’uno a quella dell’altro. L’empatia è come il prezzemolo, sta bene dappertutto. 

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Empatia è una parola potente, in un colpo solo ha cancellato dal vocabolario la simpatia, l’affinità, la sensibilità, la pietà. Quello che non riesco a perdonare a questo invadente sostantivo è l’aver cancellato dal vocabolario quella parola che, già messa in disarmo da decenni, è il significante di uno di quei ancora incomprensibili fenomeni che ci rendono veramente umani, la compassione. 

Se è vero che l’empatia è il frutto del lavoro di particolari neuroni, e che questi neuroni ce li abbiamo tutti, allora possiamo dire che l’empatia dipende direttamente dall’equipaggiamento in dotazione al nostro cervello e che quindi la puoi sempre sperimentare, se le strutture cerebrali coinvolte in quel fenomeno non sono compromesse. Se non la provi, puoi essere addestrato a provarla, puoi esercitarti, come nel canto o nella musica. Con la compassione no, non ci si può esercitare a provare compassione. La puoi fingere, come fanno molti, ma come con tutte le altre menzogne, prima o poi verrai scoperto. Purtroppo, non subito, mentre da subito quel fingere ti costruirà una reputazione sociale di persona buona, reputazione che non verrà mai messa in discussione, nonostante i numerosi comportamenti contraddittori in cui ti sarà inevitabile cadere. Contraddizioni del genere al massimo generano negli altri uno stato di dissonanza cognitiva con la quale nessuno vuole avere a che fare, e che viene prontamente liquidata con “non pensava quello che diceva”, oppure “ha sbagliato, ma non aveva cattive intenzioni”.

I finti buoni di cui è pervasa la nostra società dovranno rassegnarsi perché, come è vero che il cervello non è la somma delle sue parti, vero è anche che fenomeni come la compassione fanno parte di quel comparto misterioso che include il Senso della Giustizia, la Creatività (quella vera), la Speranza, lo Spirito dell’Avventura, ovvero quella particolare varietà di fenomeni che nella loro forma più articolata dovrebbe distinguerci dagli animali e che giacciono invece al buio, chiusi in casse sigillate come in museo in cui gli originali delle opere d’arte siano conservati nei sotterranei e sostituiti da copie, per l’ammirazione del popolo Ikea.

Lettera di una Donna di Qualche Esperienza ad una Ragazza che ha Deciso di Sposarsi. Ovvero, un Matrimonio veramente Civile

Va bene, e così hai deciso di sposarti. L’hai deciso un anno prima, così avrai tempo di organizzate tutto, ma soprattutto, di organizzare tutti. E sposerai il tuo ragazzo di sette anni, di cui quattro di convivenza. In altre parole, ti sposi nella fase calante dell’iperbole della coppia, quando si diventa moderatamente indifferenti all’altro e alla noia si pone rimedio con una nuova casa, un cane, un matrimonio e dei figli.

Quello che sposerai è il ragazzo sicuro, ben collaudato, quello che sai che non ti lascerà mai, quello che conosci in ogni suo aspetto, dai gusti a quello che pensa e come lo pensa. È interamente prevedibile. E questo è buono, niente rischi, niente brutte sorprese. Hai ragione, e tu che sei un tipo pratico conosci bene il valore dell’affidabilità, della solvibilità e dell’eterna devozione.

Ma visto che hai un anno di tempo prima della cerimonia che sigillerà tutta questa poesia, perché non ti regali un viaggio, da sola questa volta, un viaggio in un posto scelto con il cuore anziché con la testa? Certo, l’unico posto in cui in trent’anni sei mai stata veramente da sola è il gabinetto – spero – ma stare da sola non significa isolamento dagli altri, altrimenti ti suggerirei subito di fare domanda presso il Dipartimento Forestale del Canada, per svolgere volontariamente il nobile compito di sorvegliare per sei mesi un territorio di alcune centinaia di ettari di bosco, con la sola compagnia di una radio ricetrasmittente.

Ma torniamo al tuo viaggio. Secondo me sarebbe essenziale affittare un alloggio per qualche settimana, nel posto che hai deciso, e vivere.  Ma c’è un altro elemento essenziale, ed è la Lista. Come dicevo, poiché sposerai l’uomo che hai deciso sia giusto per te per tutte quelle caratteristiche sopra menzionate, perché non approfittare di questo viaggio per riflettere su qualche aspetto che mi sembra tu abbia trascurato?     Vedi mia cara, tu sposerai il tuo settenale fidanzato, che ti muore dietro e che non ti abbandonerà mai; avrete anche dei figli, e farete tutto quello che fanno le moderne coppie sposate. Ci sarà amore nella tua vita, a quello ci penseranno i figli. Ma l’Amore, la Passione? E non dirmi che quel fidanzato ti abbia mai ispirato veramente l’uno o l’altra; scommetto che l’amore che provi per lui ora è poco più di quello che ti ispirerebbe un Bichon Frisé.

La Lista. Nelle poche settimane che trascorrerai da sola, in un ambiente non abituale, noterai che le tue percezioni, sensoriali e non, sembreranno come acuite, e le emozioni ti sembreranno più colorate. Non ti propongo una lista di libri, ma un mezzo che per la sua stessa ideazione riesce a coinvolgerci con più efficacia, impegnando la vista e l’udito, mai sottovalutare l’udito e la seduzione della voce umana e della musica.

Ed eccola, la Lista più breve che, se adeguatamente utilizzata, e soprattutto riutilizzata, potrebbe risvegliare emozioni che io sospetto in te non abbiano mai potuto veramente formarsi, e tantomeno esprimersi. Sono solo film, che trattano dell’amore e della sua forza, del desiderio di una particolare persona che diventa la fonte della nostra gioia, della nostra creatività, a volte anche di tormento, e di sorpresa per sentimenti inaspettati, sconosciuti e travolgenti che non sapevamo neanche esistessero; parlo di quell’amore che proviamo da adolescenti, quello che ci rende le ginocchia molli ma ci riempie di luce e che ci segna per sempre, e sempre ci condanna alla delusione quando perdiamo la persona per la quale lo provavamo.

 

La Lista

 

Pride and Prejudice,  ma non la versione in cui Mr. Darcy è interpretato da quel semidio di Colin Firth, sul quale sbavano ancora milioni di donne. Io ti suggerisco quella del 2005, con Kyra Knightly e Matthew Macfayden.  All’inizio Darcy /Macfayden ti farà un po’ ridere, ma dàgli tempo e lascia lavorare la sua voce, originale naturalmente. Occhio alla tensione erotica fra i due durante la contraddanza.

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Laws of Attraction e The Thomas Crown Affair, per una salutare overdose di Pierce Brosnan.

 

Animal Attraction (Someone like You), con Hugh Jackman, per gli amici, Wolverine.

 

Sense and Sensibility. La versione di Ang Lee del 1995, dalla quale apprenderai che, per quanto devastante possa essere l’amore sfortunato, vale la pena di innamorarsi perdutamente dell’affascinante John Willoughby se, dopo qualche giro di giostra impazzita, si finisce nelle forti braccia del Colonnello Brandon, di cui tutte ci saremmo innamorate subito, tranne quella sciocchina di Kate Winslet, ma solo perché troppo giovane e ingenua.

 

Blade Runner

In un ambiente che sembra un manicomio diffuso, dove è sempre notte e sembra che piova merda, Harrison Ford, con un paio di accordi al pianoforte e sé stesso, fa innamorare una Replicante. Capito? un “lavoro in pelle” una che non dovrebbe provare sentimenti! E se una Replicante e un Uomo grazie all’amore sfuggono a quella notte perenne e entrano nella luce dell’eternità – anche se lo fanno con quello strano velivolo – perché noi non dovremmo aspirare alla stessa cosa?

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L’ Istigazione al Disturbo Mentale

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Lo scorso 10 ottobre si è celebrata la Giornata Mondiale della Salute Mentale. L’ Oms ci informa che il 50% dei disturbi mentali si manifestano prima dei 14 anni; l’Europa, attraverso istituti accreditati, sentenzia che il 75% di questi disturbi si consolida prima dei 25 anni e che la fascia d’età tra i 10 e i 24 anni è quella più vulnerabile all’attecchimento della malattia mentale.

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L’idea che gli studenti siano fragili è divenuta un dato di fatto, ma così di fatto che nessuno nota che si tratta, invece, di un dogma recente. Educatori e genitori sembrano convinti che i cosiddetti millenials non siano preparati alla naturale transizione alla vita indipendente. Nella nuova cultura contemporanea i giovani vengono incoraggiati a interpretare il loro disagio, di qualsiasi genere o causa, come sintomo di disagio mentale. Ogni difficoltà della vita quotidiana degli studenti viene interpretata come minaccia al benessere. Gli studenti sono improvvisamente diventati vulnerabili e generalmente più a rischio di disagio mentale dei giovani della stessa età entrati nel mondo del lavoro. Non so con precisione quando abbia avuto inizio, ma non ricordo si parlasse tanto della vulnerabilità degli studenti prima della fine degli anni ’90. Il primo riferimento a studenti universitari “vulnerabili” si trova in un articolo del Times del 1986, poi del New York Times nel 1991, e nel Guardian nel 1995.

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La scoperta della “vulnerabilità” degli studenti ha trasformato quelle che nel passato erano questioni assolutamente banali della vita dei giovani, studenti e non, in fatti eccezionali e problemi potenzialmente devastanti. Oggi gli studenti devono essere protetti dai sentimenti di disagio che possono provare a scuola, o da parole o gesti che qualcun altro ha deciso potrebbero essere offensivi e procurare disagio, e il disagio oggi non viene visto come uno stato passeggero, ma foriero di uno stabile senso d’incertezza o inadeguatezza che porterebbero inevitabilmente al disturbo mentale, e quindi in un certo senso risolverebbe uno di quelli che è veramente il problema fondamentale degli adolescenti di qualsiasi epoca, la solitudine, consacrandone così l’ingresso alla più grande e coesa comunità del mondo, quella degli squinternati.

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The Book that did not Save my Life, but Saved me from my Life

As a child, my life was very sad. Sad and sadenogenic (sorry for that!). Horrible mistake the mismatch of my parents, joined together – forever – by the Holy Roman Church. Embarked as they were in the impossible attempt of trying to join the opposites they forgot the existence of the three little people they gave life to, to one for love, to the other two, for sex.

At 12, I was a skeptic who could experience some pleasure only in books and a good fight.

I used to read anything I could access.  Not having money to buy books, my sources were the limited school library and the second-hand book stalls where I could convert my school sandwich money into an American novel by Hemingway, Steinbeck, Thornton Wilder. I did not like them, but they were the only novels I could buy with 30 lira.

My third book source was my father’s library, but that was a strategically designed trap. Top bookshelves accommodated books my father did not want me to read; on the middle shelves, History, Latin writers and poets, the history of the Roman Empire and the History of the whole bloody World, revolutions included.

Lower shelves hosted the books that, according to my father’s judgement and wishes, I could and should read. Literature, mostly American but also Russian, Theatre, Poetry, and Mythology from every part of the Planet, Canadian northern territories included.

There was also a bottom, floor level shelf where old newspapers and “books of no importance” were kept. I used to call it “the Limbo”, something between Hell after Judgment and an exit corridor.

Boring. I was bored with all that mythology where nobody was ever nice and American literature that I found crude and graceless. So, one particularly boring day during school holidays, I fumbled among the books sitting on the bottom shelf and came across six volumes neatly standing side by side in their yellowish threadbare covers. I picked them up to look at them, read front and back covers, smelled them (yes, I smell books, always have). Published by Casa Editrice Bietti di Milano, author, P.G. Wodehouse. Of the six volumes, the title that attracted me the most was “l’Uomo con Due Piedi Sinistri”. I read it there and then. In less than a week, I had read them all.

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That’s how I discovered that there exists a different world where things are light, nonlinear, tridimensional, unexpected, paradoxical, a-logical, exhilaratingly funny; a world where language is colourful, and flexible, never stifling unless you want it to be.

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That’s also when and how I started living my double life: looking ever so serious and sanctimonious on the outside, always keeping alive within myself the light which that bottom shelf book had turned on many years earlier and, Thank God!, is still ablaze.

Barbara il forte

 

 

L’ Oppio dei Popoli è diventato un Problema Globale

Negli Stati Uniti, dal 2000 al 2016, sono morti per overdose più americani di quanti ne siano morti nella prima e nella seconda Guerra Mondiale. Ogni giorno, sempre negli Stati Uniti, più di 115 persone muoiono per abuso di oppioidi, sostanze di cui fanno parte, insieme all’eroina, i farmaci antidolorifici e, in particolare, il Fentanyl, il più pericoloso di tutti.

Quella che negli Stati Uniti è stata chiamata la “crisi degli oppioidi”, non è solo un problema americano. L’Iran e la Russia, con i loro confini porosi condivisi con l’Afghanistan, il maggior produttore mondiale di papaver somniferum, lottano da tempo contro la diffusione dell’uso di oppiacei nei loro territori. Le stime locali dicono che in Russia, circa 1.5 milioni di abitanti presentano una dipendenza da queste sostanze.

In Australia, gli oppioidi medicalmente prescritti sono stati la causa, nel solo 2017, di circa il 70% dei decessi dovuti a droga. In Germania, dove si calcola che dai 200,000 ai 300,000 abitanti siano dipendenti da oppioidi, il Fentanyl viene prescritto in quantità 3 volte maggiori di quanto lo sia negli Stati Uniti. Cina, Canada e Gran Bretagna combattono già da tempo quella che ormai viene considerata un’epidemia.

I dati sviluppati negli Stati Uniti rilevano tre grandi ondate nell’uso di queste sostanze. L’ultima di queste, iniziata nel 2010, mette in evidenza il consumo di oppioidi sintetici, in special modo quelli analoghi al Fentanyl, la cui produzione e traffico coinvolgono paesi i più diversi, come Cina e Messico.

Guido Olimpio, forse l’unico giornalista italiano che si occupa del traffico di queste sostanze, pochi giorni fa pubblicava sull’edizione online del Corsera: “La sfida del Fentanyl e i narcos messicani.  La narco-guerra messicana continua a mietere vite. Dal 2007 sono oltre 200 mila le vittime legate al crimine organizzato e nel solo 2017 i morti sfiorano cifre che oscillano tra i 25 mila e i 30 mila. Ci sono stati così tanti corpi che gli obitori sono saturi e molte città acquistano camion-frigorifero dove conservano i resti. In questa cornice d’orrore cresce il traffico di Fentanyl, droga potente destinata al mercato Usa.”

Il Council of Economic Advisers della Casa Bianca ha stimato che, nel solo 2015, i costi dovuti a questa epidemia negli USA ammontano a più di 500 bilioni di dollari, il 2.8 % del Pil.

E mentre la coltivazione del papavero da oppio in Afghanistan prosegue indisturbata, e le società farmaceutiche americane stanno saturando del prodotto il mercato internazionale, droghe sintetiche economiche come il Fentanyl illegale possono essere spedite dalla Cina e ricevute per posta in tutto il mondo.

Barbara il forte

 15 ottobre 2018

 

La moneta comune è la base dell’integrazione, ma non basta

Non è l’Europa di Rossi, Spinelli e Colorni, certo, ma è qualcosa su cui le generazioni presenti e future possono e devono lavorare per avvicinarsi a quel sogno. Che a distanza di settantatré anni dalla fine dell’ultima mattanza continentale si potesse realizzare una vera unione politica del continente era ed è impensabile. Differenze linguistiche, culturali, religiose, politiche, giuridiche, economiche rappresentano altrettanti ostacoli da superare e il tempo finora trascorso è troppo breve. A tutto ciò si aggiungano diffidenze secolari e sotterranee aspirazioni egemoniche che hanno fatto e fanno ancora oggi parte dell’humus su cui si sono formate e sono cresciute le identità nazionali. Tutto questo non si può cancellare con dei trattati, non si può estirpare dalla pancia delle popolazioni della parte più profonda dei singoli stati.

Sappiamo quanto sia stato e ancora sia difficile la costruzione dello stato unitario italiano, e sono passati centocinquantasette anni dalla sua proclamazione, figuriamoci l’unità di un continente nel quale per secoli si sono combattute le più lunghe e sanguinose guerre della storia. È per questo motivo che ciò che oggi tiene insieme quei popoli e dà loro una identità comune deve essere difeso, pena il disfacimento di quanto finora costruito, grazie alla lungimiranza e al genio politico di quanti si trovarono a contemplare le rovine dell’ultimo conflitto.

Ciò che oggi tiene insieme quei popoli e li rende consapevolmente partecipi di una unione reale è la moneta comune, a cui corrisponde, come naturale conseguenza, il superamento dei confini. Chiedere di interrompere questo processo di integrazione, o peggio ancora chiedere di uscirne isolatamente, significa interrompere un’esperienza che ha portato al più lungo periodo di pace e prosperità che la storia del continente europeo ricordi.

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Oggi meno di ieri si avvertono le contrapposizioni tra i popoli, e il fatto stesso di disporre in tutto il continente di ciò che abitualmente si porta in tasca in casa propria contribuisce a questa sensazione di uguaglianza, di identità, di similitudine tra chi pure ancora si esprime con lingue diverse. Quanto più ci si abitua a questo, tanto più sbiadiscono rendendosi indistinte le diffidenze reciproche e si accresce, al contrario, il senso di comunità. Sono sensazioni, nuovi sentimenti e percezioni che, pur lentamente, conducono inevitabilmente verso un maggiore desiderio di rafforzamento dei vincoli unitari. Immaginare una vera unione politica, oggi, sarebbe velleitario.

La democrazia presuppone partecipazione e la partecipazione presuppone comprensione esatta delle ragioni degli altri. Le differenze linguistiche non consentono di provare fiducia totale nei confronti di politici dei quali è anche difficile pronunciare il nome, figuriamoci decidere di riconoscersi nella loro leadership. Per questo c’è bisogno di tempo ed è necessario agire su tutti quegli altri aspetti della convivenza che rafforzino il senso identitario. Penso alla giurisprudenza, alle politiche fiscali, all’istruzione e, non da ultimo, alle politiche di sicurezza e difesa. Soprattutto la difesa, una volta messa in comune, finirebbe per rompere le ultime resistenze verso una completa integrazione, facendo venire meno l’idea stessa che si possa anche solo ipotizzare una ripresa dei conflitti sul suolo europeo.

Ma il primo passo è e rimane la moneta, perché la moneta rappresenta la nostra possibilità di soddisfare i bisogni, elementari e superflui, a prescindere da dove e con chi siamo, da Amburgo a Siracusa. Ecco perché resto convinto che il solo pensare di abbandonarla rappresenti un regresso verso un passato che si farebbe bene a studiare e studiare e studiare, dal momento che, non avendone le generazioni della seconda metà del novecento una conoscenza diretta, non c’è nulla di peggio che sottovalutarne i devastanti rischi che, da un suo ritorno, ne potrebbero conseguire. Coloro i quali si dichiarano per la sovranità monetaria dimostrano di scegliere il piatto di lenticchie a scapito della straordinaria eredità lasciataci dai grandi statisti del dopoguerra. Al contrario, la Istituzioni che regolano e governano la moneta unica vanno rafforzate col conferimento dei poteri tipici di una vera banca centrale. Ma anche il governo dell’Unione deve essere ripensato al fine di giungere, per usare le parole di Paolo Savona, ad una “politeia” che superi, vada oltre le inadeguate tecnicality della “governance”. Senza moneta comune l’Europa tornerebbe ad essere un mero mercato aperto, ma all’interno di questo mercato avrebbero libero sfogo le spinte nazionalistiche, con tutti i rischi che conseguirebbero ad un loro ri-radicamento. Senza che si facciano dei sostanziali passi avanti verso una più forte integrazione, l’euro non potrà riuscire ad arginare queste spinte che già si affacciano minacciosamente all’orizzonte, anzi, finirebbe per essere il bersaglio principale contro cui scagliarsi, per la sua intrinseca debolezza dovuta alla sua “solitudine” di collante orfano.

E non c’è più molto tempo.

 Cesare Greco

Il Mistero di Lord Lucan

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Per chi non avesse letto il libro di Muriel Spark, o non fosse in età da lettura nel 1974, ecco la storia di un crimine che ancora appassiona molti inglesi, tanto quanto un racconto di Agatha Christie, solo che in questa storia, l’assassino la fa franca.

Nel 1974, sospettato di aver ucciso la bambinaia, Richard John Bingam, 7° Earl di Lucan, scomparve, e non fu mai più ritrovato.

Avendo ereditato il titolo a soli 30 anni, Bingam aveva sempre amato quello che si dice uno stile di vita stravagante. In altre parole, era ricco e spendaccione. Amava i motoscafi ad alta velocità e viaggiava in Aston Martin.  Ma dopo circa dieci anni di quella vita, Lord Lucan era caduto nella trappola del gioco d’azzardo, dei debiti che ne conseguono e, naturalmente, dell’alcol. Anche il suo matrimonio con la moglie Veronica, andò in pezzi.

La notte del 7 novembre 1974, qualcuno si introdusse nella casa dei Lucan, al 46 di Lower Belgrave Street, a Londra. Lo sconosciuto picchiò a morte con un tubo metallico Sandra Rivett, la bambinaia e attaccò Lady Lucan, che riuscì però a sfuggire all’aggressore e a raggiungere un pub, dove chiese aiuto.

Lady Lucan indicò immediatamente il marito come l’autore dell’aggressione. Quel giovedì 7 novembre, sarebbe stato il giorno di riposo di Sandra Rivett, naturale fu quindi dedurre che John Bingam la uccise per sbaglio, credendo fosse la moglie Veronica.

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Quando la polizia arrivò sulla scena del delitto, di Lucan non c’era più traccia. La sua auto venne ritrovata nei pressi di Newhaven, non lontano dalla casa dei suoi vecchi amici Maxwell-Scott. Nell’auto, il cui interno presentava numerose macchie di sangue, venne rinvenuto un tubo metallico simile a quello ritrovato sulla scena del crimine. Gli esami forensi effettuati sulle tracce di sangue confermarono che si trattava del sangue di Sandra Rivett e di Lady Lucan. L’Interpol emise immediatamente un mandato d’arresto per il fuggitivo.

Da quel momento, si scatenò una caccia all’uomo internazionale. Dagli interrogatori degli amici aristocratici di Lucan non emerse nulla, e il luogo dove questi si trovasse rimase un mistero. L’inchiesta si chiuse nel 1975 con un verdetto di omicidio volontario; autore del reato, John Bingam Lord Lucan. Molte furono le ipotesi che si avvicendarono su come l’aristocratico fosse riuscito a non sottomettersi alla giustizia. Certamente potevano aver avuto un ruolo i suoi amici aristocratici, oppure il reo aveva deciso di togliersi la vita, ma l’opinione generale fu che i suoi amici lo avessero aiutato ad abbandonare il paese e a far perdere le sue tracce. Qualcuno aggiunse che quegli stessi amici avessero discretamente provveduto a farlo poi assassinare.Per quanto quest’ultima teoria possa apparire inverosimile, forse lo é meno di quanto sembri. Lord Lucan, come si è detto, era oberato dai debiti di gioco. Il gioco d’azzardo negli anni ’60 era legato a tale John Aspinall, fondatore del costoso ed esclusivo Clermont Club, di cui non erano ignote certe attività illegali, incluse quelle destinate alla truffa dei giocatori d’azzardo attraverso un sistema di carte truccate.

Per garantire questo sistema, Aspinall si era circondato di membri della malavita londinese, e in particolare, un collaboratore di nome  Billy Hill, criminale noto alla polizia.In quanto frequentatore abituale del Clermont Club, è possibile che Lord Lucan fosse a conoscenza dei trucchi usati nella gestione del gioco d’azzardo e potrebbe aver commesso l’errore di chiedere proprio ad Aspinall di aiutarlo a fuggire, dopo aver commesso l’omicidio. Un particolare da non trascurare in questa ipotesi è che Aspinall possedeva un vasto parco in cui aveva importato animali esotici, fra cui alcune tigri.
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Negli anni a seguire questi fatti, molti furono gli avvistamenti di “Lucky” Lord Lucan, le teorie sul suo destino si moltiplicarono, ma la famiglia protestò sempre la sua innocenza. E mentre l’assassino di Sandra Rivett, la bambinaia che quel giorno non doveva essere a casa, non fu mai risolto, il caso di Lord Lucan, vivo o morto che sia,   continua ad aleggiare nella cronaca nera londinese da più di quaranta anni.

Barbara il forte

L’arma del terrorismo è la paura

Terrorism is about psychology… It is about making ordinary people feel vulnerable, anxious, confused, uncertain, and helpless.

 (Philip Zimbardo, 2003).

Il terrorismo produce morte, devastazione e ferite gravissime, ma il suo fine ultimo è psicologico, ed è quello di creare un clima di paura, incertezza e di vulnerabilità. Questa paura non si sviluppa solo in coloro che fanno esperienza diretta di un attacco terroristico, ma si diffonde nelle famiglie delle vittime, dei sopravvissuti, e fra coloro che vengono esposti alle immagini video trasmesse.

Ne “L’Arte della Guerra”, Sun Tzu suggerisce “ Uccidine uno, spaventane diecimila”. Come molti studi hanno confermato, questa tattica funziona. Paradigmatico è  il caso dell’attacco dell’11 settembre avvenuto a New York, quando l’intera nazione sperimentò livelli di stress abnomi.

Si tratta di un effetto che i pianificatori di morte conoscono bene, così come sanno che colpire in circostanze di normale vita quotidiana moltiplica la sensazione di impotenza e imprevedibilità dell’attacco. L’utilizzo, poi, dei così detti “lupi solitari”, di personaggi della porta accanto fino a quel momento spesso insospettabili, accentua la diffusione della paura durante il quotidiano.

In sostanza, più che al numero delle vittime, i pianificatori delle azioni terroristiche sono interessati allo scatenamento di quei meccanismi ancestrali con cui il nostro cervello reagisce alla percezione di una condizione di grave pericolo e che sono in grado di condizionare la reazione di chi si sente sotto attacco.

Quando abbiamo paura, le strutture più evolute dell’ encefalo, quelle della corteccia frontale, letteralmentesi spengono. La paura crea un corto circuito nel cervello, ed è questo quello su cui contano i terroristi.

Il nostro cervello è provvisto di componenti arcaiche che rispondo alla paura e al pericolo in maniera automatica, provocando l’immissione nell’organismo di ormoni che servono ad affrontare il pericolo ma che, allo stesso tempo, possono danneggiare il funzionamento della mente e, di conseguenza, il nostro comportamento.

Quando il cervello percepisce una minaccia, cambia il modo in cui elabora le informazioni. Normalmente esse vengono elaborate attraverso strutture poste lungo un circuito che passa attraverso la corteccia orbito-frontale, quella che ci consente di elaborare, valutare e integrare le informazioni in modo coerente e logico, e di scegliere il comportamento più adeguato ad affrontare una situazione di pericolo. E’ questo il circuito che il terrore paralizza, lasciando il campo a strutture cerebrali arcaiche che rispondono alla paura automaticamente, attraverso ilsistema nervoso autonomo,che regola le reazioni corporee involontarie, e in particolare del sistema simpatico, cheha il compito di attivare le risposte di sopravvivenza alle minacce percepite; le ghiandole surrenali secernono gli ormoni dello stress(adrenalina, noradrenalina, cortisolo), il battito cardiaco aumenta, i muscoli si contraggono, le pupille si dilatano e il respiro si fa più profondo e rapido. Il volume sistolico del cuore e la sua frequenza aumentano, così anche la pressione sanguigna.

E’ stato Joseph LeDoux  a chiarire la presenza nel cervello di strutture sottocorticali (una delle quali è l’amigdala) depositarie della capacità innata di reagire inconsciamente agli stimoli qualificandoli emotivamente. L’amigdala interagisce con l’ipotalamo, e quindi con il sistema simpatico, con l’ippocampo, sede delle memorie personali implicite, e la corteccia prefrontale, che partecipa nel portare l’emozione a livello cosciente.

Per LeDoux, l’emozionalità sotterranea è in gran parte riconducibile a dispositivi automatici ereditati filogeneticamente.  La corteccia pre-frontale rappresenta una sorta di sistema di regolazione delle emozioni automatiche della paura. Qui vengono integrate tutte le informazioni sensoriali, emozionali, culturali e personali per calibrare un piano d’azione appropriato ai bisogni e al contesto della situazione che ci si presenta. Ma l’interpretazione emotiva precede e può inibire quella cognitivo-razionale.

Ed è questo che vogliono i terroristi, vogliono che si abbia paura di loro al punto da percepirli come esseri onnipotenti, incontrollabili e imprevedibili oltre ogni logica.

Anche gli effetti degli attacchi multipli sulla popolazione sono calcolati. Gli attacchi multipli aumentano ulteriormente il livello di terrore psicologico al punto di annullare anche le reazioni emotive. Eric Hollander, professore di psichiatria presso la Scuola di Medicina Montefiore/Albert Einstein di New York ha detto: “Se osservate il video dell’attacco a Bruxelles, dopo la prima bomba la gente gridava terrorizzata. Ma quando esplose la seconda bomba, il silenzio era assoluto. Era come se le persone si fossero spente, psicologicamente disabilitate.”

A questo va aggiunto che i media, ripetendo incessantemente per giorni le immagini e i suoni degli attacchi, non fanno che massimizzarne l’impatto, mantenendo nelle persone lo stato di ansia anche quando l’immediato pericolo sia passato.

John Horgan, esperto di terrorismo, condivide l’opinione che si tratti di pura guerra psicologica: “ i terroristi non vogliono solo spaventarci e costringerci a reagire, essi vogliono essere costantemente presenti nelle nostre coscienze e farci credere che non c’è nulla che essi non possano fare”.E anche questo ha un obiettivo psicologico finale: fare in modo che la gente si arrenda.

Il terrorismo è violenza politica calcolata e premeditata per avere il massimo effetto su coloro che non vengono toccati dai veri e propri attacchi . Brian Jenkins, esperto di terrorismo e sicurezza dei trasporti, pone la questione in termini molto semplici: “il terrorismo è puro teatro”.

Barbara il forte

La Basilicata e la degenerazione oligarchica

Mettiamo insieme due fatti: l’emigrazione intellettuale che vede coinvolti migliaia di giovani italiane e italiani che finiscono per conseguire brillanti risultati all’estero e lo scandalo dei raccomandati asini della Basilicata. Mettiamo insieme questi due fatti e abbiamo la fotografia esatta del perché questo paese prosegua, senza speranza, nel suo inarrestabile declino e del perché questo declino assuma, nel sud del paese, le caratteristiche di un moto naturalmente accelerato.

I fatti della Basilicata sono noti. Un concorso per “amministrativi” nella sanità lucana in cui i raccomandati da personaggi a cui non si può dire di no vengono segnalati in una lista diversa dai comuni mortali, a loro volta definiti un’inutile zavorra che evidentemente appesantisce e disturba il lavoro dei valutatori. Il problema è che questi raccomandati, evidentemente talmente sicuri dell’efficacia della segnalazione di cui godono da ritenere superfluo affaticarsi nello studio, risultano essere talmente ignoranti da suscitare l’indignazione, fino al voltastomaco, di almeno uno degli esaminatori, che ha comunque proseguito, pur riferendo di stare malissimo, nel suo compito di esecutore degli ordini ricevuti.

Se non fosse intervenuta la magistratura, questi ignoranti da voltastomaco sarebbero andati ad amministrare strutture del sistema sanitario nazionale, a condizionare, con la loro incompetenza sostenuta dall’arroganza propria di chi si sente protetto, le scelte di indirizzo assistenziale di una regione che non a caso, su patologie importanti presenta una mortalità superiore ad altre realtà del paese.

Quello che è successo in Basilicata altro non è che il portato di una sanità la cui gestione, militarmente controllata dal sistema dei partiti, viene utilizzata come salvadanaio per finanziare le clientele elettorali dei politici che, a turno e a prescindere dal colore politico, si trovano a gestirla. Una sanità che da tempo ha perso di vista il proprio scopo unico e irrinunciabile, ovvero la cura della malattia e la promozione della salute dei cittadini, divenuto un corollario di scarsa importanza rispetto alla ben più remunerativa, da un punto di vista politico, gestione delle assunzioni e delle carriere, amministrative e sanitarie.

Ma la sanità è solo uno degli ambiti di uno Stato in cui si è da tempo stracciato il patto sociale tra cittadini e amministratori. La nostra repubblica si è progressivamente trasformata in una oligarchia autoreferenziale nella quale i legami familistici e clientelari hanno preso il sopravvento su qualsiasi altra considerazione del governo della cosa pubblica, in cui il denaro pubblico, versato dai cittadini per ottenere in cambio atti di governo e servizi ben erogati, rappresenta il bottino da cui attingere a piene mani. D’altra parte, se si accetta di candidare alla guida delle amministrazioni soggetti che hanno ampiamente dimostrato di essere amministratori infedeli, magari già condannati per reati contro la stessa pubblica amministrazione, acclarati ignoranti o palesemente stupidi, e costoro vengono pure votati dai cittadini elettori/contribuenti, che quindi accettano supinamente la rapina ai loro danni, per quale motivo non si dovrebbe seguire lo stesso schema nella valutazione dei soggetti a cui affidare la gestione dei vari uffici?

Quando si diffonde la percezione di ciò, quando il tradimento del patto sociale da parte di chi ottiene la delega a governare raggiunge lo stato di coscienza da parte della maggioranza, il rischio è l’affermarsi dell’oclocrazia, a cui non segue un ritorno alla democrazia e un suo rafforzamento, ma la presa di potere di un qualche capo popolo.

E i segnali ci sono tutti.

Cesare Greco

Quando la Storia non è Maestra di Vita

Cesare Greco

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La storia si ripete sempre due volte, diceva Hegel, ma la prima si presenta come tragedia, la seconda come farsa, concludeva Marx. Ciò può essere vero quando ci si riferisca ai personaggi che in quel dato momento si trovino a gestire avvenimenti grandiosi che spesso non capiscono, ma per le moltitudini di uomini che sono loro malgrado coinvolti, la storia si ripete sempre come tragedia; ed è sorprendente a volte come gli avvenimenti che segnano un’epoca, pur con ambientazioni diverse, si ripresentino e come i personaggi che in questi avvenimenti sono coinvolti finiscano per assomigliarsi, anche a distanza di secoli.

E’ di questi giorni la constatazione che su un fenomeno epocale come le migrazioni di vere e proprie moltitudini, la stessa unità dell’Europa rischi di sgretolarsi. Quella che è stata un’opera politica grandiosa, che è riuscita ad annullare quegli egoismi nazionalistici che per secoli hanno insanguinato il continente, che ha consentito la libera circolazione di uomini e merci, pagate ovunque con la stessa moneta, rischia di crollare come un castello di carte a causa di avvenimenti che originano al di fuori dei suoi confini, che sono gestiti da personaggi ferocemente spinti unicamente dal proprio tornaconto personale, favoriti da alcune anime belle e da calcoli che attribuiscono all’arrivo di queste masse taumaturgiche soluzioni delle precarie condizioni economiche di alcuni degli Stati che dovrebbero accoglierle. Sono situazioni già vissute nei secoli passati e tornano alla memoria, quando si osservi con attenzione il fenomeno e se ne esaminino i diversi personaggi in causa, le parole con cui Ammiano Marcellino, l’ultimo grande storico della Roma pagana, descriveva, da testimone oculare, l’irrompere, attraverso i confini dell’Impero, delle masse di Goti incalzati dall’avanzare delle orde unne: “…. perchéalcuni esperti adulatori pigliavan di qui occasione per sollevare a cielo la fortuna dell’Imperatore, dicendo che’ essa gli offeriva inopinatamente nuove numerose milizie traendole fin dalle ultime terre, acciocché poi egli unendo insieme le proprie forze e le altrui avesse un invincibile esercito, oltre che’ s’aggiungerebbe all’erario gran quantità di danarocui pagherebbero ogni anno le provinceinvece delle militari reclute. Con questa speranza furono spediti parecchi, i quali sopra carri trasportassero al qua del fiume quella feroce moltitudine di stranieri: e s’attese con gran diligenza a far si che non restasse a dietro né pur uno di quegli uomini destinatia rovinare l’ imperioromano, né pur chi fosse già mortalmente ammalato……. con zattere e con tronchi d’alberi incavati : ed essendo quel fiume più pericoloso d’ogni altro, ed allora gonfiato da lunghe piogge, pel troppo gran numero delle genti, alcuni mentre sforzavansi di vincere l’impeto delleacque nuotando, furono invece inghiottiti. Così con faticosa diligenza si apriva la strada alla rovina dell’imperio romano. Perocché non è cosa nè oscura nè incerta che le personeincaricate dell’infausto ufficio di trasportar quella gente avendo spesse volte tentato di numerarla dovettero alla fine abbandonarquell’impresa…”

Oggi, come allora, vi è chi vede nei riflessi sul nostro continente dell’immigrazione africana un’occasione addirittura di rilancio economico, di recupero demografico (come se il desiderio di procreare dipendesse da una predisposizione genetica anziché dalla preoccupazione di garantire ai propri figli un futuro che non sia di incertezza e precariato). Ma oggi come allora, si manifestano le ingordigie di pochi che nello sfruttamento dei nuovi arrivati vedono un’occasione di arricchimento personale: “…. come se un avverso nume ne facesse la scelta, furon preposti alle cariche militari nomini diffamati. A costoro presiedevano Lupicinoe Massimo, l’uno Conte delle Tracie,I’altro esiziale Governatore, dotatiambedue di pari temerità e di tal cupidigia insidiosa che fu poi cagione di tutti i mali che vennero appresso. E nel vero (per tralasciare quellealtre cose di che i due capi già mentovali od alcunialtri di loro consentimentosi resero ingistamente colpevoli verso questi stranieri che fino allora non s’eranmacchiati di verun delitto) diremo solo una cosa……” Lupicino e Massimo, imperiali antesignani dei Buzzi, dei Carminati e di quanti sfruttano l’occasione rappresentata dal business che intorno all’arrivo di queste masse di migranti si è creato.

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Ciò che appare in tutta la sua evidenza, e che tragicamente richiama alla memoria gli errori del passato per quanto remoto, è la mancanza di un governo del fenomeno da parte dell’Europa e il lasciare da parte di alcuni, come i governanti italiani, che ad occuparsene siano i Lupicino e i Massimo di turno. Ed è questa mancanza di una politica ad hoc, il ributtare sulle spalle di pochi stati economicamente allo stremo e geograficamente penalizzati tutta la responsabilità della gestione del fenomeno, il non considerarlo come un problema di tutto il continente, che sta minando alla base la coesione degli Stati europei. Su questo fenomeno stanno riaffiorando gli evidentemente mai sopiti egoismi nazionali, e non è certo un buon segnale per il futuro.